Abbiamo vissuto un grande sogno collettivo: quello dell’open space. Un ideale di vita fluido, conviviale e senza barriere, dove le funzioni dell’abitare si fondevano in un unico, grande palcoscenico domestico. Poi, la realtà ha bussato alla porta. Lo smart working forzato, l’home fitness improvvisato, le lezioni a distanza: i nostri ampi salotti si sono trasformati in caotici campi di battaglia funzionali, dove il tavolo da pranzo fungeva da scrivania e l’angolo lettura da palestra. Oggi, superata l’emergenza, emerge una nuova e potente contro-tendenza: un desiderio viscerale di ordine, di confini, di spazi che abbiano un’identità precisa.
Abbiamo vissuto un grande sogno collettivo: quello dell’open space. Un ideale di vita fluido, conviviale e senza barriere, dove le funzioni dell’abitare si fondevano in un unico, grande palcoscenico domestico. Poi, la realtà ha bussato alla porta. Lo smart working forzato, l’home fitness improvvisato, le lezioni a distanza: i nostri ampi salotti si sono trasformati in caotici campi di battaglia funzionali, dove il tavolo da pranzo fungeva da scrivania e l’angolo lettura da palestra. Oggi, superata l’emergenza, emerge una nuova e potente contro-tendenza: un desiderio viscerale di ordine, di confini, di spazi che abbiano un’identità precisa.
Questa spinta non è un semplice rigurgito conservatore, ma l’espressione di un bisogno psicologico più profondo. Se l’ufficio in casa ha legittimato uno spazio per il nostro “io professionale”, ora sentiamo l’urgenza di definire territori per tutte le altre sfaccettature del nostro essere: il musicista, l’artigiano, il gamer, il lettore. Non vogliamo più lavorare in camera da letto o fare yoga in cucina; vogliamo luoghi dedicati, santuari personali dove le nostre passioni possano avere una casa. È la nascita della “Passion Room”.
Questo fenomeno, quasi un atto di riappropriazione dei propri spazi, è già visibile osservando con un approccio netnografico le conversazioni online. I social media e i forum di settore brulicano di soluzioni creative e ingegnose: i “cloffices” (closet-offices, uffici ricavati in armadi a muro che scompaiono a fine giornata), le nicchie trasformate in angoli lettura iper-accessoriati, i sottoscala che diventano laboratori per il bricolage. È un cambiamento confermato anche da ricerche di settore, che registrano un calo di interesse per gli open space puri a favore di soluzioni più flessibili e frammentate.
Il mondo del design, naturalmente, ha colto questa nuova grammatica dell’abitare e sta fornendo gli strumenti per scriverla. La risposta non è tornare a costruire muri, ma orchestrare lo spazio con intelligenza e flessibilità. In questo scenario, aziende che hanno fatto della trasformazione il loro DNA, diventano protagoniste con sistemi a scomparsa che non sono semplici mobili salvaspazio, ma veri e propri meccanismi teatrali che permettono a una stanza di cambiare identità e funzione: la casa si fa dinamica, un palcoscenico per i diversi atti della nostra vita.
Allo stesso modo, i sistemi di divisione non sono più barriere, ma filtri sofisticati. Eccellenze del design hanno trasformato porte scorrevoli e pannelli divisori in strumenti architettonici, le pareti vetrate definiscono un’area senza interrompere il flusso della luce, creano privacy acustica per una call di lavoro o per suonare uno strumento, e conferiscono un’eleganza sartoriale a questa nuova frammentazione.
Il vero valore aggiunto si nasconde quindi nel potenziale inespresso di un immobile: in quegli ambienti non codificati che la planimetria classica relegherebbe a un ruolo di servizio.
Il linguaggio stesso del mercato si sta evolvendo per intercettare questa domanda. La narrazione di un immobile di pregio non si sofferma più unicamente sulla descrizione quantitativa, ma si arricchisce di una dimensione qualitativa e aspirazionale. Si vende la possibilità. Il valore si sposta dalla funzione dichiarata alla sua potenziale metamorfosi. Di conseguenza, questo “capitale spaziale” — la presenza di una stanza flessibile e pronta a incarnare un desiderio — diventa un asset strategico, capace di pesare sulla bilancia della decisione finale più di una manciata di metri quadri indifferenziati.